Voglio più imprenditori nelle banche

Panorama Economy

Ha iniziato a lavorare a 17 anni. Poi la svolta con l'arrivo in Banktalia e l'ingresso alla Cassa di Roma. Così il numero uno di Capitalia racconta la sua storia e i protagonisti della finanza italiana. Con un progetto: aprire alle nuove generazioni.

Un campione di riservatezza come Cesare Geronzi ha deciso di raccontarsi. Per farlo, il presidente di Capitalia ha scelto una platea insolita: quella dei giovani del Progetto città, un'iniziativa di Andrea Ceccherini, numero uno dell'Osservatorio permanente giovani-editori. Rilassato e messo a suo agio dalle domande del direttaore di Panorama Pietro Calabrese, del direttore del Tg5 Carlo Rossella e del giovane pubblico, Geronzi ha tracciato un ritratto inedito che Economy pubblica in esclusiva.

Quali sono le tre cose che a livello caratteriale le sono servite di più per diventare uno degli uomini piu potenti d'Italia?
La mia vita lavorativa è iniziata a 17 anni. Il primo elemento è stata la famiglia, che mi ha rodato alle situazioni complesse. La mia era una famiglia dignitosamente povera e le dignità con cui i miei genitori mi hanno spinto verso lo studio e l'impegno è stata il primo insegnamento che mi sono sempre portato dietro. Il secondo punto che ha segnato definitivamente la mia carriera è stato il concorso in Banca d'Italia, vinto nel 1960, e l'incontro con un governatore straordinario, Guido Carli, che all'epoca aveva iniziato a costruire l'istituto centrale dal dopoguerra.
L'insegnamento che ho avuto da quest'uomo è stato quello che mi ha dato il senso di responsabilità, il senso delle istituzioni, che mi ha fatto capire che si può dare una fiducia sconfinata ai giovani anche senza conoscerli. Allora ero uno sconosciuto, eppure ogni giorno concorrevo a determinare il valore del cambio della lira nei confronti del dollaro. E per farlo occorreva impegnare le riserve del Paese. Godevo di una libertà assoluta.
Il terzo momento è quando ho deciso di lasciare la Banca d'Italia dopo vent'anni d'attività che mi ha messo addosso un saio che come un monaco inconsapevolmente sento sempre addosso. In quell'occasione ho seguito Rinaldo Ossola, allora direttore generale della Banca d'Italia. Era l'uomo che fu scelto per restituire a Napoli il suo Banco, dopo la fase di commissiariamento. Ho vissuto un anno e mezzo a Napoli, che si è concluso con una sconfitta, dato che io e Ossola fummo cacciati nel vero senso della parola, perchè il nostro mandato era quello di cambiare statuto, trasformando il governo di una banca nelle mani della politica più spiccia. Ossola mi disse di andarmene, quando tentarono di appiccare un incendio nel mio ufficio e, poi, anche lui lasciò.
Allora fui indicato come direttore generale della piccola Cassa di risparmio di Roma, con 140 sportelli presenti. Si era da poco conclusa un'indagine della Banca d'ltalia e Carlo Azeglio Ciampi mi disse che questo era un posto da dove potevo ricominciare. Ho ricominciato e da allora ho l'orgoglio smisurato di poter dire di aver fatto un percorso straordinario, unendo banche in crisi, in precrisi o in letto di morte. Ritengo di avere svolto anche un ruolo istituzionale: perchè molte banche in uno stato di preagonia non hanno deteminato una perdita per lo Stato e oggi sono ricomprese in un gruppo che ha realizzato un +87% in Borsa nel 2004.

Come un giovane pensa di dare l'assalto al cielo? Che forza l'ha spinta verso l'altro?
L'inizio è stato un colpo di fortuna. Carli nel frattempo costruiva all'interno della Banca D'Italia un sistema di competizione serrato, al limite dell'uno contro uno, che alla fine ha prodotto un risultato straordinario: della mia epoca sono gli uomini di cui spesso si parla con un po' di superficialità. Si chiamano Antonio Fazio, Vincenzo Desario, Paolo Savona, Tommaso Padoa Schioppa, Rainer Masera, Pierluigi Ciocca, un insieme di personalità e professionalità che sono il risultato di una conflittualità competitiva permanente.
Questo è l'insegnamento da dare ai giovani. Io mi sono trovato in questa condizione e quando dovevo lottare ero pronto.

Lei ha un amministratore delegato come Matteo Arpe e altri 350 nuovi manager tra 35 e i 40 anni. Che risultati ha dato l'investimento in giovani talenti?
Nel 2004 sono stati assunti oltre 1.000 giovani. Si è avviato un processo di cambiamento generazionale che quattro anni fa ho visto come in un lampo,  partecipando ad alcune riunioni di colleghi che vedevo stanchi e poco motivati. Allora ho capito che non  ero l'uomo del futuro di questo gruppo e che dovevo ritagliarmi un altro ambito. Così è avvenuto il cambiamento generazionale.
Sapevo di correre dei rischi, che ancora ci sono, ma basta proteggere questi uomini con l'esperienza. E' questo il mio compito: esserc al loro fianco con occhio vigile e attento, a suggerire e indicare la strada migliore. Questo è un compito quasi didattico, ma sono queste persone che hanno trasformato il gruppo. Per questo ho lasciato loro l'autonomia assoluta.

Si parla molto in questi giorni di tutela della concorrenza nel sistema bancario e della durata della carica del governatore di Bankltalia. Lei cosa ne pensa?
Ho vissuto vent'anni in Bankitalia e la mia percezione che i governatori che si sono succeduti nel tempo hanno considerato questa carica senza scadenza come una forma essenziale, dovuta a un'istituzione la cui indipendenza è tutela del sistema. Nel mandato con scadenza, soprattutto all'epoca dell'Iri, gli amministratori delegati e i presidenti che duravano in carica tre anni lavoravano
un anno e mezzo per l'azienda e l'altro anno e mezzo per succedere a se stessi.
Questo problema per me ora è demagogicamente affermato e posso dire che almeno fra quelle mura non si è mai posto se non in termini di tutela e garanzia.
Per quanto riguarda la concorrenza bisogna vedere come e  quando nasce in testa a Bankitalia l'incarico di tutelare la competizione. Questo problema nasce con la creazione dell'Antitrust nel 1990, insieme alla legge Amato che ha avviato il processo di privatizzazione del sistema bancario.
Il compito fondamentale della Banca d'Italia è preservare il sistema bancario e tutti concordavano che la concorrenza era fondamentale per ricercare efficienza, redditività e stabilità degli istituti. Si può discutere se i tempi sono cambiati e sono cambiati i contesti organizzativi, ma le funzioni di Bankitalia non sono cambiate.

Banche straniere: aprire, socchiudere, chiudere le porte? Cos'è più auspicabile?
Noi siamo stati tra le prime banche ad aver indotto un grande istituto straniero a entrare nel capitale: Abn Amro ha il 9% su un patto di sindacato del 30% e l'esperienza di questi sei anni è assolutamente positiva. Una cosa analoga la possono dire i colleghi di Banca Intesa con Santander e di Bnl con Bbva. Il mercato del credito italiano è assolutamente aperto alle banche internazionali, ed è il più aperto. E' chiaro che dobbiamo riconoscere la debolezza del nostro sistema economico. Resistere non significa negare il diritto al libero scambio delle azioni che sono sul mercato. Credo che in chi governa il sistema c'è un'unica convinzione: il rischio che si perda il potere decisionale. Se siamo deboli, possiamo non appartenere più a noi stessi. Possiamo non concorrere più alle decisioni che interessano l'economia e la finanza del nostro Paese. Questo significa creare le condizioni per capire il ruolo che si può avere in un'altra nazione, non chiudere le porte alla concorrenza. Se noi italiani ci presentassimo in qualunque Paese europeo non potremmo toccare nemmeno con un dito una porzione di capitale di società locali. Quindi, non è questione di reciprocità, ma di sistema.

Che effetto le fa sedere nel cda di Rcs?
Tutte le partecipazioni seguono una logica e quella di Capitalia è quella della crescita nella stabilità. Le follie non sono di questo mondo e io non le perseguo. Posso essere solo orgoglioso per essere diventato membro del cda Rcs, vicepresidente di Mediobanca e membre influente della Treccani, e dare così un contributo alla comunità al meglio delle mie possibilità Quando ho dovuto affrontare problemi e persone l'ho fatto sempre con tratto amichevole, con correttezza e trasparenza. Per quanto riguarda la trasformazione di Mediobanca, tutto procede con tranquillità e questo a qualcuno non garba. Però, ribadisco: nessuno ha intenzione di far nulla.

Come giudica la riforma del risparmio, attualmente in discussione?
Posso dire che uno dei grandi problemi dell'Italia è legiferare bene: il rischio, infatti, è che si complichino le cose con effetti opposti rispetto a quelli desiderati. L'iter è ancora lungo e l'augurio è che ci siamo interventi modificativi molto approfonditi. Non inquinati da trasversalità politiche, ma che guardino con attenzione all'attuale contesto normativo in cui si esercita il risparmio. Per esempio, si fa grande confusione sul conflitto d'interessi tra banche e aziende. Oggi sembra che per un imprenditore essere in una banche sia quasi un peccato mortale. Il sistema bancario, però, non può essere governato dalle fondazioni perchè, si dice, sono la longa manus della politica. Ma in Italia non abbiamo fondi pensioni e le banche straniere non possono salire. Allora chi deve investire in una banca?
Lo stesso vale per quella banche che, dovendo collocare bond di un suo cliente, deve prendersi l'onere di comunicare al sottoscritto l'indebitamento del proprio cliente. Ma chi sottoscrive un bond si assume il rischio d'impresa diretto e non mediato dall'intervento dell'istituto. Quindi, bisogna scrivere le regole dopo aver letto e interpretato bene quelle che già esistono. E i casi Cirio e Parmalat attengono alle disfunzioni dei controlli societari e non a quelle del sistema bancario. O, perlomeno, le disfunzioni bancarie sono riconducibili a casi singoli, che ciascuno ha regolato in casa propria.

La più grande soddisfazione e l'errore più grande della sua carriera?
Errori ne ho fatti tantissimi. Chi prende decisioni deve poter dire ogni sera di aver preso la migliore in quelle condizioni, sempre con grande lealtà nei confronti della sua banca. Quindi, se errori ci sono stati erano inevitabili. Le soddisfazioni, invece, sono due. La prima è la famiglia, e mi auguro che tutti possiate godere di una situazione analoga. La seconda è l'orgoglio di aver costruito un gruppo comem Capitalia, che non teme la concorrenza perchè è forte e sano.