Il «nodo» Ciappazzi tra Tanzi e Capitalia

Il Sole 24 Ore

I Pm di Parma: «La banca costrinse all’acquisizione». L'acquisizione della Ciappazzi, la fallita società del gruppo Ciarrapico, in cambio di un finanziamento ponte da 50 milioni di euro per salvare dal dissesto la Hit

L'acquisizione della Ciappazzi, la fallita società del gruppo Ciarrapico, in cambio di un finanziamento ponte da 50 milioni di euro per salvare dal dissesto la Hit. A esercitare «ripetute indebite pressioni» su Calisto Tanzi per rilevare la società siciliana di acque minerali sarebbe stato, secondo i magistrati che indagano su Parmalat, il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, con alcuni alti dirigenti della banca. I reati ascritti a Geronzi - concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione aggravata - emergono dal capo d'imputazione redatto dai pm di Parma per l’"incidente probatorio" che si svolgerà domani in Tribunale, anche se il portavoce di Capitalia ha replicato in una nota che le contestazioni rivolte  al numero uno dell'istituto romano sono soltanto delle «ipotesi di reato per le quali si sta ancora indagando».
Nel corso dell'udienza di domani, Tanzi e dei cinque amministratori della Pamalat indagati per bancarotta, dovranno riformulare davanti al giudice per le indagini preliminari le dichiarazioni da essi rese agli inquirenti in questi mesi e rispondere alle domande dei legali di Capitalia, i quali cercheranno di far emergere l'infondatezza delle accuse. L'incidente probatorio è infatti un’anticipazione del dibattimento cui si ricorre in via eccezionale, in attesa del processo, per consolidare gli elementi di prova.
I fatti in questione risalgono al 2002. Banca di Roma deve sgravarsi dell'esposizione verso Giuseppe Ciarrapico, l'imprenditore andreottiano caduto in disgrazia con la fine della Prima Repubblica, e individua in Tanzi l'acquirente della Ciappazzi. La società siciliana è «di valore nullo in quanto in stato di decozione», scrivono i magistrati nell’ordinanza, ma il cavaliere di Collecchio viene convinto ad acquistarla comunque, tramite la Cosal per poco più di 18 milioni di euro. A finanziargli l'operazione è la stessa Banca di Roma. La Cosal paga la prima rata subordinando l'esecuzione del contratto all'esito positivo della due diligence. Ma la valutazione dei conti della Ciappazzi riserva qualche sorpresa. Da essi affiorano «gravi inconsistenze dell'attivo», «inadempimenti versa fomitori», «violazioni delle garanzie». Tanzi sospende il pagamento della seconda rata e avvia un arbitrato chiedendo la restituzione del denaro versato e un risarcimento di importo superiore al prezzo di acquisto. Ed è qui che sarebbero scattate le pressioni di Geronzi. La Hit, la società turistica della famiglia Tanzi, è in stato prefallimentare e il Mediocredito Centrale (di Capitalia) sta organizzandone la ristrutturazione del debito con le altre banche creditrici. Perché l'operazione vada in porto serve però un prestito ponte da 50 milioni, che Banca di Roma – scrivono i magistrati - accetta di erogare alla Hit a due condizioni: che il finanziamento sia fatto gravare su Parmalat e che Tanzi rinunci all'arbitrato su Ciappazzi e ne porti a termine l'acquisizione. Tanzi acconsente, formalizza la transazione per la Ciappazzi e solo a quel punto Capitalia gli eroga il denaro promesso, predisponendo «documentazione bancaria atta a dissimulare l’effettiva destinazione del finanziamento al gruppo Hit». I fondi vengono accreditati a Parmalat ma contestualmente girati a Hit su disposizione di Tanzi.
L'approvazione del finanziamento ponte avrebbe anche ricevuto l'assenso dell’allora direttore generale di Capitalia, Matteo Arpe, il quale «non impediva...la consumazione del reato», scrivono i pm, «avendone l'obbligo anche in ragione della carica di amministratore delegato del Mediocredito Centrale, banca agente nel progetto di ristrutturazione» della Hit. Per questo motivo i magistrati contestano il concorso in bancarotta anche ad Arpe.
Capitalia ha tuttavia rimarcato l’esiguità dell’operazione in rapporto all'entità abnorme delle perdite della Parmalat. «Sembra desumersi – si legge nella medesima nota – che l’erogazione di un finanziamento a Parmalat erogato nell’ottobre 2002 (più di un anno prima del default) che ha comportato un aumento dell'esposizione creditizia di 37 milioni di euro e l’interessenza del gruppo Parmalat in una società minore del gruppo Ciarrapico, per un investimento mai completamente versato di circa 15 milioni di euro, siano la causa del dissesto Parmalat con un "buco" di oltre 13 miliardi di euro. Si tratta di una «forzatura che non necessita di commenti», peraltro basata, si legge in conclusione «solo su dichiarazioni e ricostruzioni dei diretti responsabili di tale scandalo finanziario che, com’è noto, hanno per diversi anni mentito alla comunità finanziaria, agli organi di vigilanza e al sistema bancario».