«Io, Geronzi e la mancata fusione Comit-Banco Roma»

Panorama

Lettera a «Panorama » di Luigi Fausti che spiega perché saltò il progetto elaborato dalla Mediobanca

Nel suo ultimo libro, Fardelli d'Italia, l'autore Roberto Napoletano ricostruisce i retroscena della mancata fusione nel 1998 tra Comit e Banco di Roma, riferendo la conversazione avuta con uno dei protagonisti dell'operazione, Cesare Geronzi. Secondo l'attuale presidente della Capitalia, il matrimonio di cui Enrico Cuccia e la sua Mediobanca erano stati autorevoli sponsali fallì per la strenua opposizione dell'allora numero uno della Comit, Luigi Fausti. Il quale, a 7 anni di distanza, durante i quali ha sempre evitato di commentare l'episodio, chiamato in causa ha deciso di dire la sua con questo intervento.

A che cosa e a chi attribuire la responsabilità del fallimento dell'ipotesi di fusione tra la Comit (banca che non esiste più nonostante la sua storia e il grado elevatissimo della sua internaziolità) e il Banco di Roma?
Il mio nome (fino al 30 settembre 1998 ero il presidente della Comit) rimbalza, secondo me a sproposito, e mi spinge a contribuire al chiarimento di alcune circostanze che nella loro evoluzione hanno avuto un rilievo non trascurabile nel processo di riassetto dei sistema bancario dal 1998 in avanti.
Primi mesi del 1998: viene indetta una riunione presso Mediobanca, convocati i tre presidenti delle «Bin» (banche di interesse nazionale, ndr), cioè il sottoscritto insieme a Lucio Rondelli per il Credito italiano e a Cesare Geronzi per il Banco di Roma. Sul tavolo una proposta di fusione delle tre banche (contavano insieme circa il 30 per cento del capitale di Mediobanca, la quale ci teneva molto che restasse tale), proposta alla quale una delle tre disse subito che non avrebbe mai aderito, cosicché la proposta di fusione «a tre» di fatto cadeva nel giro di poche battute.
Indipendentemente da tale non trascurabile antefatto, il mio orientamento non era incline ad aderire. Nel 1994-95 avevo realizzato un cospicuo aumento di capitale, motivato, al cospetto dell’assemblea, con la necessità di fare shopping in aree da noi scarsamente presidiate. Mediobanca non si arrese, anzi insistette nei mesi successivi, incalzata, così fu dichiarato, dalla Banca d'Italia che aspettava una risposta dalle tre banche chiamate in causa.
Dall'esterno in quel periodo mi giungevano anche perentori inviti, come quello di un amico influente che mi segnalava il pericolo che stavo correndo: «Se non cedi ti distruggeranno». Debbo anche riconoscere però che autorevoli personaggi si schierarono a favore della mia tesi. Uno di questi, alla fine di un discorso riservato, volle essere rassicurato che nessuno sapesse che c'eravamo incontrati. Questo era il clima.
Di fronte alla mia determinazione, mi giunse, garbato quanto deciso, l'invito a dimettermi, che rifiutai di accogliere perché mai mi sarei perdonato di avere venduto la pelle e l'indipendenza di una banca nella quale avevo lavorato per 50 anni e che mi aveva procurato una certa notorietà. Il mio licenziamento ne fu la logica conseguenza: il 30 settembre 1998 in una indimenticabile seduta del consiglio di amministrazione, ciò avvenne tra il penoso silenzio dei componenti del board. Non dimenticherò mai la faccia, occhi rivolti in basso, di amici anche molto cari. All'inizio dell'anno successivo della fusione con il Banco di Roma non se ne parlerà più. Luigi Lucchini, che mi era succeduto nella carica di presidente della Comit, mi confiderà che non ci era riuscito perché Geronzi «non gli aveva voluto aprire i libri».

Dunque, di chi e di che cosa la responsabilità del fallimento? E quali erano invece le vere finalità del progetto?
Per la verità sono stato sempre convinto che Geronzi stesso non fosse del tutto entusiasta della fusione con la Comit. Ero invece persuaso, e lo sono tuttora, che Mediobanca fosse preoccupata di un frazionamento del suo azionariato di riferimento. E dire che sarebbe stato facile immaginare che noi da soli o con altri non avremmo perduto l'occasione di arrotondare il nostro investimento nella banca di via Filodrammatici (nata 60 anni prima nella mente di un certo Mattioli).
Nel 1997, un anno prima degli avvenimenti ricordati, ebbi occasione di aiutare Geronzi che aveva problemi a portare a casa un aumento di capitale. Una mattina il Geronzi mi telefono e mi disse che gli era stato chiesto di dirmi «grazie».