Il ruolo delle banche nello sviluppo del Paese

ATLANTIDE: Il processo di concentrazione in atto nel sistema bancario, pur con aspetti indubbiamente positivi, non rischia di ridurre notevolmente il tradizionale radicamento delle nostre banche sul territorio?

Cesare Geronzi: Questa è ancora una tesi ricorrente sul piano scientifico, anche se le evidenze empiriche, in studi effettuati anche in altri Paesi, si sono quasi sempre rivelate piuttosto deboli. In realtà, a una concentrazione segue normalmente una fase di ristrutturazione organizzativa, che può avere sostanzialmente effetti limitati che tendono a rientrare quando la nuova macchina funziona a regime.
Sicuramente oggi in Italia le comunità locali traggono vantaggio da una maggiore presenza e concorrenza bancaria e nelle aree più deboli sono proprio le banche maggiori a espandere maggiormente gli impieghi e a investire nel territorio una quota più elevata della raccolta. In queste aree le concentrazioni hanno prodotto più concorrenza, più efficienza e migliore qualità dei servizi. Contano molto, inoltre, anche le modalità con cui si realizza una concentrazione. Un gruppo come Capitalia, per esempio, nasce come aggregazione di banche di media dimensione, aventi tutte un forte radicamento territoriale, come la Banca di Roma, il Banco di Sicilia e Bipop. In questo caso di radicamento territoriale rappresenta un plus concorrenziale che si vuole mantenere ed esaltare nel nuovo gruppo. Si assiste quindi a un potenziamento dell’offerta e non a un arretramento, perché il gruppo realizza economie di scala e dispone di una gamma di prodotti e servizi – nel risparmio gestito, nei mutui e nel credito industriale – di cui non dispongono le banche originarie.

ATLANTIDE: Sotto questo profilo, come va giudicata la tendenza a omologare al modello delle società per azioni le forme bancarie più legate al territorio, come le banche popolari e le banche di credito cooperativo?

Cesare Geronzi: Nelle piccole banche popolari e nelle banche di credito cooperativo i vantaggi dei principi cooperativi sono in grado di esaltare un apporto all’economia locale che resta importante e insostituibile.
Per le maggiori banche popolari il discorso è in parte diverso, perché lo specifico modello di governante tende in alcuni casi a creare ostacoli a una gestione efficiente, nonché a sottrarle agli effetti disciplinanti di una concorrenza sugli assetti proprietari che invece le altre maggiori banche subiscono. I ritardi che il nostro sistema bancario denuncia al confronto con le altre principali economie, in termini di ristrutturazione e consolidamento nella fascia delle banche medie, sono probabilmente attribuibili a questo problema. Lo stesso governatore della Banca d’Italia ha ancora di recente ribadito che è matura l’esigenza di rivedere la governante delle banche popolari proprio per affrontare quest’ordine di problemi.

ATLANTIDE: A parere di molti, il sistema economico italiano è minacciato da una irreversibile deindustrializzazione. Lei concorda con questa analisi e, nel caso, quali contromisure o alternative esistono per non compromettere lo sviluppo del Paese?

Cesare Geronzi: Parlare di deindustrializzazione ha un significato negativo, che non corrisponde alla realtà. L’Italia, come tutti i paesi industrializzati, è entrata da alcuni anni in quella fase che vede la quota dell’industria sul valore aggiunto ridursi progressivamente a favore della quota dei servizi, che infatti rappresentano attualmente il 70% del Pil e sono destinati a espandersi ulteriormente. In questo senso, il calo dell’industria è un fatto fisiologico, che si accompagna anche allo spostamento di parte della produzione al di fuori dei confini nazionali sia per ragioni di costo sia per la penetrazione in nuovi mercati.
La riduzione della quota “interna” dell’industria non è quindi un fattore che di per sé compromette lo sviluppo del Paese. L’importante è che le imprese industriali si riposizionino su una gamma di prodotti ad alto valore aggiunto e siano quindi in grado di far fronte alla concorrenza internazionale. Contemporaneamente, deve crescere anche la capacità competitiva dei servizi, sia privati che pubblici, in modo da trasformare in senso moderno al nostra economia. Io cedo che, sia pur lentamente, entrambe le cose stiano avvenendo. Si è temuto, in questi ultimi anni, che, di fronte  alle nuove sfide dei mercati mondiali, la nostra industria non riuscisse a rimanere competitiva e fosse destinata a un inarrestabile declino non vi è dubbio che tale preoccupazione abbia avuto il pregio di riportare l’attenzione sulle debolezze del sistema Paese: la scarsa produttività dei servizi, e prima di tutto della pubblica amministrazione; un’elevata evasione fiscale, particolarmente su grandi imprese e lavoro dipendente; la carenza di infrastrutture; un sistema universitario inadeguato; un sistema istituzionale paralizzato da poteri di veto diffusi e incapace di ringiovanirsi.
Tuttavia il timore del declino economico ha sempre più ceduto il passo alla consapevolezza che le nostre imprese, banche incluse, hanno saputo reagire positivamente, nonostante le tante difficoltà di contesto. Siamo stati tra i primi, già nell’autunno del 2005, a cogliere, con le nostre indagini sulle imprese, questi segnali di reazione.

ATLANTIDE: In generale, quali sono le iniziative fondamentali che dovrebbero essere intraprese per rilanciare l’Italia?

Cesare Geronzi: La risposta è difficile perché qualsiasi lista di iniziative potrebbe apparire eccessiva e indurre, quindi, allo scoraggiamento, oppure potrebbe apparire insufficiente e inadeguata rispetto ala dimensione dell’obiettivo.
Non vi è dubbio che prima di tutto va garantita la stabilità finanziaria, e quindi messa e mantenuta in ordine la finanza pubblica. Fatto questo, una maggiore efficienza della pubblica amministrazione può consentire di ridurre la spesa pubblica e di abbassare permanentemente la pressione fiscale
È certo opportuno, inoltre, porre in cima alle priorità l’esigenza di liberare ed esaltare l’azione delle forze della concorrenza, perché esse sono le uniche in grado di ampliare il grado di innovazione e di garantire l’accesso al sistema delle risorse professionali migliori. Questo però significa ridurre i vincoli e non aggiungere altre prescrizioni che limitano la capacità gestionale degli operatori, magari a vantaggio di qualcuno, ma certo non dell’efficienza del sistema  volte è meglio non fare, piuttosto che intervenire impropriamente o in modo pasticciato
Sarà forse necessario, infine, firmare un nuovo patto sociale, che coinvolga tutte le parti in causa – imprenditori dell’industria e dei servizi, lavoratori, pubblica amministrazione – per accrescere, al tempo stesso, la produttività e l’occupazione, in senso quantitativo e qualitativo. Soltanto dalla crescita stabile e duratura di queste due variabili può derivare una solida espansione del prodotto interno lordo nel lungo periodo.

ATLANTIDE: In quali precisi e concreti modi può il sistema bancario aiutare le Pmi, particolarmente per quanto riguarda l’accesso al credito e l’aumento di competitività?

Cesare Geronzi: Non esistono ostacoli all’accesso al credito delle Pmi. Lo dimostrano i dati di questi ultimi anni: nonostante la recessione industriale, il credito delle Pmi è cresciuto, ddando a esse il tempo necessario per ristrutturarsi e recuperare competitività. Questo  è successo anche perché le banche, pur non frapponendo ostacoli all’accesso al credito, hanno svolto un ruolo attivo, contrattando i piani di ristrutturazione, in rafforzamento della governante, e il rinnovamento del management delle aziende in difficoltà che accedevano al credito.
Ora si può affrontare il problema anche per la “via maestra”, che è quella di far crescere le imprese. Nel suo modello di intervento Capitalia intende favorire questa opzione e individua un approccio che vuole affrontare a 360 gradi i problemi della crescita dimensionale, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione delle imprese nel rispetto delle scelte imprenditoriali. Il nostro gruppo ha infatti proposto in fase di sperimentazione diversi prodotti di finanziamento alle piccole e medie imprese volti sia a dare stabilità alla struttura finanziaria delle imprese e, quindi, a porre le condizioni della crescita, sia a supportare i processi di innovazione e internazionalizzazione.

ATLANTIDE: Il nostro sistema bancario è sufficientemente internazionalizzato per sostenere in modo efficace le nostre imprese all’estero?

Cesare Geronzi: Nell’attuale quadro dell’economia globale le banche veramente “internazionali” sono pochissime. L’acquisizione da parte di una banca di una partecipazione all’estero rappresenta una decisione molto onerosa, giustificata solo da elevate prospettive di redditività e di epr sé non necessariamente funzionale ad accompagnare la propria clientela in quel mercato A questo scopo è perfettamente adeguata una rete di filiali e di uffici di rappresentanza, ben assistita da accordi di cooperazione con banche estere.
Sotto questo profilo direi, quindi, che il grado di internazionalizzazione delle banche italiane è più che adeguato, considerato che ogni banca individua delle aree di privilegiata attenzione in relazione agli interessi della propria clientela. Attualmente per Capitalia tali mercati sono soprattutto al Romania, la Cina e l’India. In subordine vengono i Paesi balcanici, l’Europa dell’Est e la Turchia. Queste sono anche le aree che ci vedono maggiormente impegnati sia in un’attività di screening di opportunità, sia di collaborazione con le banche locali.

ATLANTIDE: Secondo Lei, è reale il rischio di una pericolosa “colonizzazione” dall’estero del nostro sistema bancario?

Cesare Geronzi: In un sistema europeo che punta alla piena integrazione, non si può parlare di pericolosa “colonizzazione. Inoltre, l’apertura al capitale estero garantisce una vera contendibilità della proprietà delle aziende, che è un bene perché rappresenta uno stimolo essenziale alla gestione efficiente e dinamica.
Certo è che la presenza di capitale estero nel nostro sistema e il rado di apertura degli assetti proprietari delle nostre banche sono elevati al confronto europeo. Questo è anche un segnale della attrattività delle nostre banche; il divario dimensionale ancora presente accentua però la vulnerabilità di molte di esse.
Non parlerei, quindi, di pericolosa “colonizzazione”, semmai del rischio di vedere ridursi il grado di autonoma determinazione di scelte finanziarie che in altri Paesi si preferisce ancora mantenere sotto il controllo nazionale. Il modo comunque migliore per difendersi è quello di mantenere al massimo l’efficienza gestionale e le prospettive reddituali.

ATLANTIDE: A un anno dalla entrata in vigore della nuova legge sul risparmio, si può affermare che le famiglie sono più tutelate nell’investire i loro risparmi?

Cesare Geronzi: La nuova legge sul risparmio ha certamente rafforzato la tutela del risparmiatore sotto molti profili, che vanno dalla disciplina degli emittenti, alle regole di trasparenza, ai conflitti di interesse, al sistema sanzionatorio e all’assetto delle autorità di controllo. Su questo stesso terreno si muoverà il recepimento della Direttiva europea Mifid.
Credo però che il vantaggio più consistente di tale legge sia stato un effetto “indiretto”, cioè quello di accelerare un processo che era già in atto con la crescente responsabilizzazione degli operatori, la diffusione ed estensione dei codici di comportamento, l’assunzione della tutela del cliente come elemento centrale del contesto competitivo.
In questa stessa direzione vanno gli orientamenti che rafforzano la posizione contrattuale dei risparmiatori, come per esempio l’attribuzione di un ruolo alle associazioni dei consumatori – Capitalia le ha addirittura portate nelle proprie filiali – e anche l’alfabetizzazione finanziaria del pubblico, sulla quale molto stanno facendo la Fed statunitense e la Fsa britannica (Financial Service Authority) e su ciò dovremmo impegnarci anche in Italia. Non vanno invece in questa direzione, anzi la contraddicono, interventi diretti su prezzi e che inibiscono forzatamente alcune soluzioni contrattuali che possono essere liberamente stipulate tra le parti.

ATLANTIDE: In passato il ruolo delle Fondazioni Bancarie è stato al centro di vive discussioni: quale ritiene debba essere la loro funzione istituzionale?

Cesare Geronzi: Con le fondazioni bancarie sono nati nella nostra economia dei protagonisti del settore non profit che realizzano un equilibrio fra responsabilità della funzione pubblica e responsabilità della società civile che nel nostro paese – dove erano assenti le fondazioni provate tipiche della cultura anglosassone -  non si era mai vista. Dopo la progressiva dismissione delle partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie, attuata con equilibrio, le fondazioni sono ora pienamente attrezzate patrimonialmente per divenire un riferimento fondamentale per tutta l’attività del terzo settore i Italia.
Le partecipazioni bancarie delle fondazioni sono oggi considerate un elemento di stabilità in un mercato nazionale ce da sempre denuncia una carenza di capitale privato a vocazione finanziaria.

ATLANTIDE: Per concludere, a Suo parere il nostro sistema bancario è troppo politicizzato o i rapporti banca-partiti si possono considerare sostanzialmente corretti?

Cesare Geronzi: Credo che sia sempre opportuno mantenere desta l’attenzione sull’autonomia delle banche dalla politica.
La politica determina il contesto nel quale le aziende, e tra esse le banche, operano. Le grandi banche, proprio per la dimensione che hanno e il ruolo che svolgono nel Paese, hanno responsabilità verso tutta la società e quindi la politica.
Sono anche convinto che le maggiori banche in questo Paese siano state spesso troppo assenti dal dibattito di politica economica o vi abbiano interpretato il proprio ruolo troppo timidamente, con il risultato di essere sistematicamente considerate come le “vittime sacrificali” privilegiate quando, nelle periodiche manovre di restrizione, si è trattato di ripartire i sacrifici.