XXXI edizione MEETING PER L'AMICIZIA TRA I POPOLI: “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”

Rimini - 25 agosto 2010

Rimini, 25 agosto 2010

GLOBALIZZAZIONE E LAVORO

Intervento di Cesare Geronzi
Presidente  di Assicurazioni Generali S.p.A.


Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, come dice Pascal. Sarebbe banale ripetere una di quelle frasi comuni secondo la quale hanno un cuore – nel senso dei sentimenti, della simpatia secondo il significato etimologico riscoperto da Adam Smith o dell’amicizia operativa, di cui parla Don Giussani – anche categorie e persone che si ritengono, a volte a torto, legate a una visione economicistica della vita.
Eppure, la crisi finanziaria globale ha messo in evidenza come del cuore, cioè di una spinta che vada oltre la mera valutazione economico-finanziaria, che integri la pura ragione economica, noi non potremmo fare a meno. E una spinta del genere significa, in particolare, valutazione degli interessi collettivi della comunità in cui operano la banca, l’intermediario finanziario, l’impresa assicurativa. Considerazione attenta, dunque, dell’operare anche con una prospettiva di redditività differita, perseguendo, cioè, risultati non necessariamente nel breve periodo; attenzione alle ricadute generali dell’agire del banchiere o, comunque, di un imprenditore finanziario; cura della reputazione, a forgiare la quale sono necessarie eticità, correttezza e trasparenza nei rapporti con la clientela, puntuale osservanza delle disposizioni che, appunto, regolano tali relazioni.
Il banchiere, secondo la visione di Schumpeter, è eforo (giudice) dell’attività economica. Passa al suo vaglio, dunque, una parte fondamentale delle transazioni economiche che si svolgono in un Paese. Occorre slancio, non certo azzardo morale, nel valutare la possibile evoluzione di quei progetti che, come una volta ebbe a dire Emma Marcegaglia, “stanno in piedi”, anche se non sono assistiti da garanzie che potrebbero essere opportune e, tanto meno, da garanzie immobiliari. Non ci sarebbe bisogno – se ci si convincesse che occorre scrutinare solo le domande di credito assistite da garanzie solide – dell’esperienza, della professionalità, della capacità che deve avere la professione bancaria. Basterebbero un computer e un calcolatore. Verrebbe meno l’esigenza di un’attitudine ragionata ad antivedere, a programmare, unita a quel sentimento che spinge a realizzare “imprese” durature per il futuro, per le generazioni che verranno, investendo in esse e così contrastando quella che è stata definita la società dell’incertezza e del rischio.
Parlo da persona che ha compiuto una lunga esperienza nel campo del credito e ora si cimenta con i problemi e le potenzialità eccezionali di un grande gruppo assicurativo. In questi settori è dominante la tutela del risparmio, messa in discussione, non in Italia, ma in molte parti del mondo, dalla crisi finanziaria.

1.    Ho avuto la fortuna di poter fare un’esperienza non comune, partendo da un ventennio di lavoro in Banca d’Italia per approdare brevissimamente alla vicedirezione generale di un istituto di credito di diritto pubblico – il Banco di Napoli – secondo la classificazione prevista dalla legge bancaria del 1936 allora vigente, per poi passare alla direzione generale di una Cassa di risparmio – quella di Roma – che ha costituito la base per una serie di successive aggregazioni bancarie e finanziarie culminate nella costituzione di un grande gruppo, Capitalia.
L’esperienza nella Banca centrale, sotto la guida – non solo professionale, ma di vita – di un personaggio che è stato per molti un Maestro, Guido Carli, ha impresso in me caratteri incancellabili: la cura costante della professionalità, la capacità di decidere dopo aver approfonditamente analizzato il thema decidendum, il rigore dell’istruttoria, avendo sempre come stella polare, prima di predisporre la scelta conclusiva, quello che veniva definito il “superiore interesse dell’Istituto” coincidente con gli interessi generali, l’immancabile assunzione delle responsabilità dell’agire. Sono caratteri rigorosamente osservati da tutti i successori di Guido Carli.
Dunque, imprenditorialità – essendo gli istituti di credito imprese – ma anche valutazione degli impatti generali delle decisioni del banchiere. Quando sono stato investito di funzioni esecutive, mi sono sforzato – e probabilmente non sempre con successo, considerate le difficoltà che si incontrano nel diuturno operare – di fare ciò che oggi le Autorità monetarie interne e internazionali chiedono ai vertici delle aziende di credito: cioè compiere, fino a quando sono stato investito di tali responsabilità, uno scrutinio del merito di credito che tenesse conto non solo delle garanzie apprestate, ma anche – e soprattutto – della validità delle iniziative da finanziare, del progetto, delle sue ricadute anche se non a breve termine.
Gli effetti della crisi hanno messo in evidenza come sia importante che il banchiere sostenga le operazioni meritevoli anche quando i dati non sono a favore dell’impresa da affidare, come autorevolmente è stato detto.
La Banca d’Italia si è formata, agli inizi del secolo scorso, anche attraverso interventi in situazioni di dissesto e proprio con l’obiettivo di attenuarne le conseguenze. È nel suo DNA il recupero di soggetti economici e finanziari in condizioni di acute difficoltà. Da questo punto di vista, l’osservatorio privilegiato di Via Nazionale – mentre mi ha impegnato in un altro versante, quello dei rapporti con l’estero e dei cambi, allora in regime di regolamentazione dei movimenti di capitale – è stato, comunque, una grande scuola per me.
Di quegli insegnamenti mi sono giovato quando – anche per rispondere a logiche di sistema che mai tuttavia passavano sopra alle logiche d’azienda ma con queste ultime si combinavano – ho promosso, con i miei collaboratori, una nutrita serie di concentrazioni che avevano lo scopo di conseguire sinergie e, quindi, condizioni più avanzate sotto il profilo patrimoniale, reddituale e dell’efficienza operativa, ma spesso rispondevano anche all’esigenza di impedire l’aggravamento delle condizioni della banca aggreganda e di conservare e sviluppare un radicamento territoriale.
Si conferivano, così, stabilità e migliori prospettive alle aziende di credito interessate, alla loro clientela, ai dipendenti, alle relazioni con altre banche, al contesto economico-territoriale, e così via. A volte, si è trattato di veri e propri  salvataggi. E tuttavia, anche in questo caso, non sono mai state pretermesse le ragioni di economicità della banca aggregante, viste in una logica di medio-lungo termine.
Realizzata una delle migliori operazioni di concentrazione, nell’ambito della quale il gruppo da me presieduto – Capitalia – si è aggregato con una banca di livello internazionale come l’Unicredit, ho compiuto per circa un triennio una nuova esperienza in un intermediario assolutamente originale, qual è Mediobanca, la cui storia – fatta di alta professionalità e di straordinaria dedizione di chi vi lavora – attraversa l’intero periodo successivo alla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri.
Ora sono al vertice delle Generali, la prima multinazionale italiana. I dati, anche recenti, dei risultati del Gruppo parlano da soli e testimoniano della qualità e della dedizione del personale di ogni ordine e grado.
L’impegno mio determinato è di fare ulteriormente sviluppare la Compagnia, di accrescere efficienza e redditività, di migliorare la sua organizzazione, di fare ancora avanzare i rapporti con la clientela, di rafforzare la competitività. Muovono in questa direzione i passi compiuti nel miglioramento degli assetti della governance e delle strutture della  comunicazione, nell’ampia revisione organizzativa di recente promossa, nella cura delle risorse umane, nella stessa attenzione alla ricerca e ai profili culturali da sostenere con il progettato rilancio della Fondazione della Società, nell’attenzione agli interessi generali.
Nelle strategie occupa un posto di rilievo la valutazione della possibilità di ulteriore espansione all’estero (in Cina le Generali sono diventate la prima Compagnia straniera).

2.    Gli effetti della crisi finanziaria globale e della  successiva tempesta innescata dalla Grecia non sono ancora superati. E’ stato un triennio di fuoco. In Europa, la ripresa, che può dirsi avviata, e appare migliore delle previsioni, è tuttavia ancora discontinua e incerta. Dagli USA, che pure hanno varato la riforma finanziaria non vengono segnali rassicuranti, considerati i problemi della crescita e dell’occupazione. Si presenta con forza sulla scena internazionale la Cina. Ciò che è avvenuto in questi ultimi tre anni non è valutabile solo in base ai pur fondamentali dati macroeconomici, ma si avvicina ad un passaggio d’epoca. Una tempesta perfetta che trova un precedente solo nella crisi degli anni ’30 del secolo scorso.
La globalizzazione commerciale, finanziaria e degli uomini ha fatto progredire complessivamente le condizioni dei popoli; ma il modo in cui essa si è sviluppata ha aggravato, per l’assenza di istituzioni di governo della trasformazione, e per aver fatto perno sul debito, le distanze tra le aree del mondo ed ha reso possibile la trasmissione immediata del contagio delle crisi economiche.
Dai mutui americani subprime il contagio, nella finanza, si è facilmente propagato, attraverso la via dell’impacchettamento dei titoli emessi dagli intermediari finanziari, che passano di mano in mano dei diversi sottoscrittori, fino alla costruzione di derivati di derivati diffusi in tutto il mondo. E’ stato il modo per trasferire i rischi.
La banca ha trasformato la sua natura. Non più intermediario che raccoglie risparmio e si assume il rischio del suo impiego, ma soggetto che innanzitutto trasferisce i rischi dell’impiego del risparmio ad altri soggetti. I trasferimenti, dunque, si moltiplicano in un mondo finanziario globalizzato.
E’ nato, così, un sistema bancario – ombra. Hanno reso possibile ciò una politica monetaria negli USA lungamente espansiva e carenze nella regolamentazione bancaria e finanziaria, nonché nell’azione di vigilanza. Sono, queste, le spiegazioni della crisi largamente condivise, insieme con il ruolo che hanno avuto gli squilibri internazionali.
Su di esse è bene concentrarsi anche in ossequio all’insegnamento di Guido Carli, che diffidava delle spiegazioni metaeconomiche.
E tuttavia non può trascurarsi che, alla base delle cause della tempesta finanziaria ed economica, che vanno autonomamente analizzate nel modo in cui si è detto e come tali contrastate, sia una distorsione profonda dei valori ai quali guardano parti delle società in varie aree del globo, finendo con il porre in primo piano l’arricchimento facile e la prevalenza dell’avere sull’essere; ma concorre anche l’isterilirsi della visione dei fini della vita, la riflessione su di essi essendo ritenuta quasi come una perdita di tempo. A volte sembra prevalere la figura dell’“uomo-funzione”, come è stato detto.
Non l’economia al servizio dell’uomo ma, viceversa, l’uomo che attraverso l’economia persegue l’egoistica soddisfazione dei propri esclusivi interessi particolari, in maniera avulsa da ogni sentimento di coesione e di solidarietà.
Non è neppure l’esaltazione dello homo oeconomicus – che, del resto, lo stesso Pareto contestava perché asseriva che, accanto a questa figura, occorre aggiungere quella dello homo politicus e dello homo religiosus – ma dell’uomo egoista, per certi aspetti “homini lupus”. E’ la glorificazione dello “enrichez-vous”.  Dunque, c’è una esigenza del ritorno ai valori veri, della riaffermazione della coesione sociale, del ruolo del volontariato, del dono, della capacità di agire in una logica di sussidiarietà e di ricostituire le relazioni nelle comunità, nel territorio. Vanno valorizzati i corpi intermedi. Ci guidano in questa linea le encicliche Mater et Magistra, Pacem in terris, Centesimus annus. È nella prospettiva un’opera di lunga lena; forse una vera riforma intellettuale e morale. Una “metanoia” per la finanza. L’etica, di cui frequentemente si parla nei convegni, non è un “quid” che sopravviene dopo che nel mercato si sono sviluppate le transazioni, ma è, deve essere, intrinseca allo scambio.
È avvertita la esigenza di giustizia commutativa e di quella distributiva. Il capitale sociale si rafforza con le scelte solidaristiche, comunitarie.
Il mercato non è un locus naturalis, bensì è un locus artificialis, una costruzione dell’uomo che funziona adeguatamente se altrettanto adeguatamente è regolata.
Il tema della definizione delle nuove regole e delle attività economiche e finanziarie dopo la fase più virulenta della crisi è ancora all’ordine del giorno. Occorre accelerare il percorso soprattutto in Europa, avendo gli Usa approvato, come accennato, una assai importante riforma, anche con il ricorso a sostanziali mediazioni. Tarda la definizione di una efficace nuova architettura della vigilanza nell’Unione. Non si può, a lungo, stare fermi in mezzo al guado.
Ci si era incamminati con lo studio per l’adozione di nuovi principi e del cosiddetto global legal standard per le attività economiche e finanziarie. Si era pensato, sulle prime, a una Bretton Woods da realizzare in progress per un nuovo ordine monetario internazionale. Ora si constata quanto sia difficile il percorso per introdurre nuove regole e principi nella finanza globale. Nonostante le elaborazioni del Financial Stability Board, i progressi finora segnati a livello internazionale non sono rilevanti.
Del tutto abbandonata sembra l’ipotesi di una riforma del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale. Una rivisitazione cruciale, dal momento che è essenziale, per un nuovo ordine monetario, un organo che sovraintenda alla liquidità internazionale : una sorta di banca centrale globale.
A volte sembra che la crisi, mentre in questa fase sono sotto attacco i debiti sovrani sui quali si scarica l’onere dei salvataggi degli intermediari finanziari, non abbia insegnato granché, se il passo è lento nel necessario percorso riformatore.
Non si vuole indulgere a prospettive palingenetiche, ma l’adozione di nuove regole in materie come la supervisione degli organi di controllo, gli effetti di contagio ed i rischi sistemici, i derivati, gli hedge fund e le agenzie di rating – insomma, l’adozione di norme innovative per i profili prudenziali e strutturali dell’ordinamento finanziario – non è più procrastinabile. Dovrebbe rappresentare il terreno di convergenza minima di tutte le posizioni al di là delle, pur possibili, differenti concezioni e finalità. E’ legittimo attendersi scelte efficaci, nella regolamentazione e nelle politiche, dal Vertice del G.20 di Seoul del prossimo novembre.
Vi sono, dunque, più stadi di interventi. Da quelli, alti, perché si possano diffondere comportamenti ispirati a valori non effimeri o, peggio, a disvalori; ai compiti delle istituzioni della politica, a livello globale, per costruire una governance internazionale e per dettare le nuove regole della finanza, fino agli impegni dei governi dei singoli Paesi.
Il sistema finanziario deve essere, nel contesto economico, un fattore di efficienza e di sostegno dello sviluppo. Dovrà avere più capitale, meno debiti, minore esposizione di rischi, per potere svolgere la sua elettiva funzione ed essere capace di una sintesi nuova tra interessi aziendali e interessi generali.
La crisi insegna che altre forze devono scendere in campo, come quelle del cosiddetto terzo settore.
Oggi, in Italia, da un lato, bisogna riequilibrare la finanza pubblica, dall’altro, è fondamentale attivare una crescita maggiore di quella prevista, pur comparativamente da non sottovalutare, dell’1% nel 2010 e nel 2011. Soprattutto perché, come sostengono molti analisti, il maggiore apporto viene dalla domanda estera. I dati del prodotto relativi al secondo trimestre di quest’anno sono, però, di qualche incoraggiamento, anche se la recente graduatoria Ocse non induce al particolare ottimismo.
Muove in una corretta direzione la manovra finanziaria approvata dal Governo a fine luglio.
L’attuazione del federalismo fiscale – in una logica di cooperazione e solidarietà nazionale – accentua l’esigenza di un protagonismo delle forze sociali ed economiche del territorio.
Occorre anche una maggiore capacità, da parte delle banche, di scrutinare il merito di credito, di selezionare le iniziative valide.

3.    Come ha detto di recente il Presidente della Repubblica, dobbiamo guardare avanti, al futuro. Dobbiamo essere in grado di costruire una società migliore per le generazioni che verranno. E a tal fine è necessario, oltre all’intelletto ovviamente, anche il cuore al quale voi vi riferite. Sarà fondamentale affrontare le riforme di struttura, reagire al calo demografico – considerato anche il rischio del sia pur controverso anticipo della “gobba” pensionistica – contrastare quel vero e proprio bradisismo economico che ci caratterizza da un quindicennio per il quale avanziamo sempre della metà rispetto ai nostri concorrenti nei versanti della competitività, della produttività, della quota di commercio internazionale etc.
Non possiamo continuare a vivere a spese delle generazioni future. Non ce lo consentirebbero più neppure i nostri legami europei e internazionali.
Tutti, allora, debbono fare la propria parte, l’Europa, il Governo, le istituzioni della politica in genere, le imprese – ivi comprese, ovviamente, le banche e le assicurazioni – i sindacati, le altre organizzazioni sociali. Nel versante dell’Unione Europea, è fondamentale dare avvio alla costruzione di un governo economico, per la quale non è sufficiente la pur importante revisione della struttura e dei contenuti del Patto di stabilità e di crescita.
Nel frattempo, occorrono, in ogni caso, scelte concrete, che facciano avvertire effettivamente l’essenzialità del ruolo dell’Unione, quale potrebbe essere un programma di emissione di titoli europei per finanziare un piano comunitario di sviluppo nelle infrastrutture e nella ricerca.
All’interno, e in coerenza con gli indirizzi europei, come accennato, è cruciale rialimentare la crescita. Dobbiamo, così, contrastare i dati non esaltanti (anche se comparativamente, a livello europeo, non peggiori) sul lato del tasso di disoccupazione, della partecipazione delle forze di lavoro, dei cosiddetti “scoraggiati”, degli “inattivi”. Bisognerà fare di più. L’impegno del Governo è valso a evitare impatti straordinari della crisi finanziaria globale. Gli ammortizzatori hanno svolto un ruolo importante. Ma occorre ora guardare alla prospettiva, in maggiore lontananza.
Una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro, un nuovo statuto (non dei lavoratori) ma dei lavori, che privilegi, secondo le linee che stanno emergendo, il momento della partecipazione di chi lavora al processo produttivo aziendale prevedendo un più efficace aggancio dei salari alla produttività senza, tuttavia, superare alcune garanzie di carattere nazionale, potrebbe essere la via da seguire secondo un modello di nuova, diversa, concertazione.
Finita la centralità della fabbrica, superata la centralità della classe operaia, ma non il valore del lavoro nella fabbrica grande o piccola che sia, è il tempo di allargare la visione dei partecipanti alla produzione e al lavoro in genere. Un modello di contrattazione e di rapporti di lavoro che dia maggiore stabilità di prospettive all’impiego ma, nel contempo, ne renda più flessibile lo svolgimento in relazione alle sorti della produzione potrebbe essere la via da seguire.
Una riorganizzazione del mercato del lavoro lungo le linee prospettate dal Governo, deve consentire una riforma organica e di lunga durata degli ammortizzatori sociali; ci si deve, insomma, dare carico del mondo esterno all’impresa, dei giovani che aspirano a un lavoro. Esistono in materia interessanti proposte di legge parlamentari.  
Un piano per il lavoro fatto di nuovi strumenti e di nuove impostazioni potrebbe essere la risposta che valorizzi il merito, assicuri parità dei punti di partenza, dia una prospettiva ai giovani e alle famiglie, naturalmente nel presupposto che sia possibile attivare una crescita maggiore. E a tal fine si pone l’urgenza di sostenere la ricerca e l’innovazione con un maggiore concorso pubblico-privato. Vanno sperimentate forme articolate di partecipazione ai risultati aziendali.
Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale, come Benedetto XVI afferma nell’enciclica Caritas in veritate. E si deve trattare di un lavoro “decente”, che sia espressione della dignità e della libertà dell’uomo.
Preparare il futuro significa darsi carico, hic et nunc, delle conseguenze dell’allungamento della vita media con tutto ciò che ne consegue sul piano dello sviluppo demografico, delle immigrazioni, dell’assistenza, insomma di un nuovo welfare. Crescono, in particolare, i bisogni della cura degli anziani, dell’assistenza ai non autosufficienti. Forme di specifica previdenza e di assicurazioni private debbono fare i conti con l’onerosità delle prestazioni. E’ tuttora irrisolta, nonostante tanti sforzi, la questione meridionale. Un riconcepito ruolo dello Stato, nel sostegno, è ineludibile.


Formulo alcune considerazioni conclusive.

Non possiamo accettare l’indirizzo – che, qua  e là, in campo internazionale, sembra prendere piede – del “new normal”. Dobbiamo impegnarci  ancora di più.
La cruciale questione-lavoro passa per la necessaria apertura di una stagione di riforme di cui il Paese ha grande bisogno. Dobbiamo lavorare per una crescita maggiore. Questa è decisiva per conseguire una maggiore occupazione, in una con la rivisitazione dell’ordinamento del lavoro. Fondamentali sono la produttività e la competitività. Esigono innovazioni a livello aziendale e di sistema. Diversamente, ogni sostegno pubblico sarebbe vano. Vanno adeguate le relazioni industriali.
Occorrono certezze per chi intraprende e per chi lavora.
Condotta positivamente dal Governo l’azione di contrasto della crisi, ora siamo chiamati tutti – esecutivo, Parlamento, istituzioni, in genere parti sociali – a una fase di impegno e di costruzione del futuro.
Non compete sicuramente a me, ma spetta alla politica, nelle sue espressioni rappresentative, individuare, con le sue scelte istituzionali, la via più idonea per corrispondere a queste esigenze, per rafforzare l’incerta ripresa, in un momento assai delicato, nel quale ritornano segnali di difficoltà in campo internazionale fino a far parlare di ipotesi di deflazione, comunque di stagnazione e, all’interno, il “Tesoro” si appresta a ricorrere a mercato per una cospicua raccolta di fondi in questa parte finale dell’anno (160 miliardi).
La crescita tedesca attesa per il 2010 apre un nuovo terreno di impegno, di confronto e di opportunità.
E’ senz’altro positivo avere incluso fisco e Mezzogiorno nei prioritari indirizzi programmatici che si propongono per l’azione del Governo in questa fase. Sarà interessante verificare gli interventi che si progettano sotto questi titoli.
La continuazione della lotta a quella iniqua tassazione – che è, per i contribuenti onesti, l’evasione fiscale, lotta sulla quale si registrano significativi progressi – è fondamentale per la prospettiva di una riforma tributaria che riduca l’imposizione sul lavoro e sull’impresa. La rivisitazione tributaria si intreccia con il federalismo fiscale. Il patto, “foedus” – da cui il federalismo – deve essere equilibrato e solidale. Un federalismo cooperativo per unire, come è negli intenti del legislatore. Così può costituire una cruciale innovazione per il Paese.
Occorre dare concretezza, a tutti i livelli, al principio di sussidiarietà che, oggi, ha pure rilievo istituzionale.
Un ruolo rilevante spetta al mondo del credito e della finanza. Dobbiamo operare con decisione per migliorare l’immagine e, in generale, il rapporto con la clientela, imprese e famiglie. Prima ancora di insistere su posizioni rivendicazioniste nei confronti delle istituzioni della politica. Quelle posizioni saranno più forti se si sarà data prova di essersi autonomamente mossi per darsi carico delle esigenze dell’utenza e anche degli interessi del Paese.
Il settore del no-profit è chiamato, anche esso, a fare la sua parte. Si parla, oggi, di nuova filantropia. E’ un orizzonte che, di pari passo con il necessario riequilibrio della finanza pubblica e con l’evoluzione di settori come quello dell’istruzione è della ricerca, dovrebbe mobilitare le intelligenze e la capacità di antivedere del legislatore, del Governo, dell’iniziativa privata.
In un momento nel quale si manifestano anche correnti di pensiero relativistiche  e scettiche, desiderare, con Camus,  l’impossibile forse può apparire fuori dai tempi. E tuttavia dobbiamo proporci obiettivi più ambiziosi, capaci di una nuova sintesi tra la vita e gli interessi dei singoli e la vita della comunità di cui si è parte, per un’esistenza, insomma, degna di essere vissuta, nella quale non vengano meno gli ideali. Nella crisi – sia pure in fase di superamento – c’è un “cairòs”, un’opportunità che dobbiamo saper cogliere.