Incontro dibattito “Un patto Banche-Imprese per rilanciare il Mezzogiorno"

L'Italia del sud verso l'Europa. Credito e Mezzogiorno.

Non a caso, in questo numero, il sommario comprende due gruppi di problemi: quelli dell'Europa e quelli del Mezzogiorno. Le due fondamentali questioni del nostro Paese sono strettamente correlate tra loro.
La salvezza e la rinascita del Sud dipendono, in gran parte, dalla presenza, sempre più impegnata e qualificata, dell'Italia in Europa. E, d'altra parte, non si può non prendere atto delle ragioni sottostanti all'Europa a due velocità o a geometria variabile e, comunque, non si può partecipare, a pieno titolo, agli eventi in corso per la realizzazione del più ambizioso progetto europeo che la storia ricordi - quello dell'Unione economica e monetaria e della moneta unica - continuando a presentare una spaccatura profonda del Sistema-Italia in due realtà nettamente differenziate.
E' una grande benemerenza della Banca d'Italia e del suo governatore Antonio Fazio avere stimolato ed ospitato, nei saloni della sede centrale di Via Nazionale - evento davvero eccezionale - il Convegno promosso dal Mediocredito Centrale, dalla Banca di Roma e dalla Fiat, dal titolo quanto mai appropriato e suggestivo <<L'Italia del Sud verso l'Europa>>. Esso ha suggellato una serie di studi, di iniziative, di progetti che avevano fatto emergere un'evoluzione meritevole di essere presa in considerazione, sotto il punto di vista politico, scientifico, organizzativo, non solo per un bilancio qualitativo e quantitativo, ma anche per dare una sferzata alle forze produttive, alle parti sociali, allo stesso Governo per imboccare, in una visione globale, più fecondi percorsi e sbocchi nella soluzione della nostra secolare <<questione meridionale>>.
La <<Rivista Bancaria-Minerva Bancaria>> si è ripetutamente occupata di questi problemi, prendendo netta posizione e formulando opportune proposte per la loro soluzione, con numerosi e autorevoli scritti, specie nel campo specifico del credito e della finanza. Il nostro Direttore Parrillo, tra l'altro, ha coordinato recentemente i lavori della <<Giornata del Credito>>, organizzata dall'Associazione Nazionale per lo studio dei problemi del credito, con una introduzione dal titolo <<Il ruolo del credito nel nuovo ''Progetto'' di sviluppo del Mezzogiorno>>, in cui è stata ripresa tutta la tematica relativa e sono state avanzate rinnovate proposte.
La Rivista, quindi, ha salutato con grande interesse l'iniziativa presa dai tre grandi soggetti economici, innanzi richiamati, che si sono prefissati di affrontare, nel recente Convegno, i problemi fondamentali del Mezzogiorno italiano. E' sintomatico e significativo che questo incontro sia stato posto sotto l'egida della Bnaca d'Italia, come ha sottolineato il Direttore Generale Desario, nel suo intervento di apertura. L'Istituto, infatti, da anni, in specie nell'opera del suo Governatore Fazio, fin nelle più recenti <<Considerazioni Finali>> all'Assemblea dei Partecipanti, ha dedicato un approccio particolarmente risolutivo al rilancio del Sud, nel quadro delle sue diagnosi e proposte.
Il Convegno non è destinato a restare fine a se stesso ma sarà seguito da altri quattro, per un generale ripensamento della questione meridionale e per la messa a punto - è da confidare - di alcune linee programmatiche di azione operativa.
Con lo stesso spirito, la <<Rivista Bancaria-Minerva Bancaria>> ha ritenuto di associarsi pienamente a questo progetto e, con il consenso degli Autori, è lieta di pubblicare i saggi e gli interventi nel Convegno suddetto, riguardanti soprattutto gli aspetti finanziari.
I problemi specifici attuali, di ordine fondamentale e prioritario, maturati recentemente o esistenti da lungo tempo in diversi campi, sono stati ormai individuati e impostati e sono state saggiate e tentate varie soluzioni: infrastrutture e formazione umana, di responsabilità precipua pubblica; creazione di nuove imprese, risorse finanziarie e loro costo, adatte condizioni salariali e occupazionali, aumento delle occasioni di lavoro e sua flessibilità, di pertinenza dei responsabili della produzione e del lavoro; preliminarmente, lotta contro la malavita organizzata, che impedisce il fiorire di iniziative produttive locali e il trasferimento a Sus di quelle di altre regioni e di altri paesi, da condurre da parte di tutti nelle proprie competenze e doveri.
In particolare, nel campo creditizio, desta preoccupazione la grave inferiorità del Sud, denunziata, tra l'altro, dai maggiori indici delle sofferenze e dai più elevati tassi d'interesse, dovuti, appunto, ai maggiori rischi.
I segni del grave degrado della situazione creditizia del Mezzogiorno sono stati confermati, in maniera significativa, specie negli ultimissimi tempi: le difficoltà del salvataggio del Banco di Napoli; la liquidazione dell'Isveimer, il commissionamento della Sicilcassa, l'intervento risanatorio della Cariplo nella Caripuglia.
I nuovi mezzi e metodi per perseguire gli indicati obiettivi sono anche essi messi a punto negli organi e nelle procedure di gestione e di controllo e nelle risorse finanziarie di agevolazione, creazione, orientamento, assistenza tecnica.
Vogliamo confidare che la complessa azione di stimolo, coordinamento e rilancio, cui partecipa anche la Rassegna, risvegli i protagonisti e incida profondamente sul Governo, le parti sociali, l'opinione pubblica, stimolando un seguito fecondo, fino al raggiungimento di tutti gli ambiziosi, ma irrinunciabili e realizzabili obiettivi, di un Italia omogenea e unita nel benenessere materiale e nella efficienza umana, di cui è degna.
E' ora di non rinviare ulteriormente i patti sociali e di sviluppo di cui da più tempo si va parlando.
Già si dispone di un completo sistema di aiuti alle imprese che investono nel Mezzogiorno (Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, meccanismi per gli incentivi, cabina di regia, fondo rotativo per la progettualità) le risorse nazionali e comunitarie già stanziate e disponibili sono adeguate all'avvio di un nuovo corso. Vi sono impegni per accelerare gli investimeti in infrastrutture, è in corso una vasta riforma del mercato del lavoro, che rafforzerà la formazione professionale e darà al rapporto di lavoro la flessibilità, indispensabile per impedire che tante occasioni di impiego vadano sprecate.
Subito dopo la formazione del nuovo Governo, bisognerà riprendere, senza ulteriore indugio, i progetti di <<Patti di sviluppo>> di <<intese sociali>> o di <<fiducia>> attraverso ampi accordi fra Governo, Regioni, autonomie locali e imprese, Parti sociali per coordinare il comune sforzo per il Mezzogiorno.
Non va dimenticato, in questo momento cruciale, che l'emergenza disoccupazione, piaga dolorosamente caratteristica del Mezzogiorno, è stata dalla Conferenza intergovernativa europea, inaugurata a Torino il 29 marzo, inserita tra i titoli del nuovo Trattato di Maastricht - quello che risulterà, appunto, dalla revisione del trattato - e a Roma il 14-15 giugno sarà tenuta una Conferenza tripartita sulla disoccupazione stessa. Si tratta, in sostanza, di un flagello che va insorgendo, prepotentemente, pure nello scenario europeo, e che va affrontato con la più solidale cooperazione, anche morale, di tutti i Paesi.
L'appello della Banca d'Italia non può essere disatteso. Occorre un'autentica svolta, un nuovo corso, un Progetto strategico unitario di sviluppo, che riaffermi la centralità e non la perifericità del Mezzogiorno e ridia credibilità ed affidabilità all'immagine, al ruolo, al mercato del Sud, che, in questo senso, può essere anche una risorsa e non soltanto un peso o un vincolo.
L'impegno unitario deve coinvolgere l'accresciuta e impegnativa partecipazione delle forze politiche, economiche, sociali e culturali del Mezzogiorno, nel senso che lo sviluppo del Sud deve essere, prima di tutto, opera dei meridionali i quali debbono assumere a pieno la responsabilità delle funzioni che sono chiamati a svolgere, animando ed elevando il movimento ascensionale della loro economia, propiziando le sorti delle future generazioni.

Un patto banche-imprese per rilanciare il Mezzogiorno
Cesare Geronzi

Si apre oggi il convegno <<L'Italia del Sud verso l'Europa>> promosso dalla Fiat, dal Mediocredito Centrale e dalla Banca di Roma. E' un'iniziativa importante che si articolerà in più interventi-dibattito che si svolgeranno nei prossime mesi a Palermo, a Bari e a Napoli.
Un grazie vivissimo alle autorità e agli illustri ospiti, per una presenza che ci è di stimolo e di conforto; ai relatori che, con la loro profonda conoscenza e la loro maturata esperienza, contribuiranno certo alla buona riuscita dei lavori.
Non è davvero un caso che il convegno si apra nel <<salone dei partecipanti>> della Banca d'Italia cui va la nostra gratitudine per l'ospitalità che ci concede.
I vertici dell'Istituto sono stati sempre attenti, infatti, alle problematiche del Sud: da Donato Menichella (di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita), che fu tra i fondatori della Svimez e concorse attivamente a definire le prime misure d'intervento straordinario in favore delle regioni meridionali, ad Antonio Fazio, che non perde occasione per sottolineare, con l'autorevolezza derivante dai suoi studi e dalla sua carica, i vantaggi che possono scaturire, per l'intero Paese e non solo per una sua parte, dall'avvio a soluzione degli annosi problemi che affliggono il Mezzogiorno.
Ma proprio perchè annosi, quei problemi richiedono una riflessione rinnovata; una riflessione che consenta di <<comporre>> storia, economia, società e istituzioni in un quadro d'assieme il più possibile approfondito e coerente.
Quel quadro conoscitivo ci abbisogna.E'infatti al suo interno che andranno poi calate le proposte che emergeranno (ci si augura) dalle analisi che verranno condotte nel corso dei convegni che a questo, che è di natura introduttiva, faranno seguito.
La questione meridionale che Pasquale Villari, Francesco Saverio Nitti, Giustino Fortunato, Pasquale Saraceno e tanti altri avevano sollevato con forza imponendola all'attenzione delle classi politiche e dell'opinione pubblica lungo tutta la storia dell'Italia dall'Unità in poi, oggi sembra aver perso la capacità di mobilitare la coscienza nazionale.
Prevale un senso di rassegnazione, quasi di apatia, difronte alla dimensione del problema, alla sua complessità, all'ostinazione con cui la Questione Meridionale si ripropone nella storia del nostro Paese. Le statistiche non offrono conforto.
Cinque decenni di politica di sviluppo del Mezzogiorno non hanno fatto che scalfire il divario che separa il Sud dal Nord Italia. Negli anni 1950, il reddito pro-capite nel Mezzogiorno era pari al 54% di quello del Centro-Nord. Nel 1955 lo stesso rapporto si attesta al 56%.
Il Mezzogiorno continua a perdere terreno persino rispetto alle regioni più povere dell'Europa Comunitaria. Negli anni recenti, il divario di reddito che separa l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna dall'Europa Comunitaria si riduce.
Al Mezzogiorno d'Italia rimane il poco invidiabile primato di avere perso ulteriore terreno rispetto alla media comunitaria.
Alla scarsa dinamica del reddito prodotto fa riscontro un progressivo deterioramento della situazione occupazionale.
La gravità della disoccupazione delle regioni meridionali è nota a tutti. Forse meno noto è il fatto che anche sul terreno della disoccupazione il Mezzogiorno vede allargarsi il divario che lo separa dal resto dell'Europa in controtendenza - ancora una volta - rispetto a quanto accade in tutte le regioni arretrate dell'Europa Comunitaria.
Sono questi i fatti che hanno spinto molti a dichiarare il fallimento delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno finora perseguite. Che tali politiche non abbiano conseguito i propri scopi, in particolare di portare le regioni meridionali sostanzialmente alla pari con quelle del Centro-Nord, è innegabile. Ma rimane il fatto che non ci è dato sapere con certezza cosa sarebbe effettivamente successo all'economia meridionale in assenza di tali politiche.
Rimane soprattutto il fatto che il mancato successo delle politiche passate non ci esime da una ricerca approfondita anche se impegnativa delle ragioni degli insuccessi.
E' utile tornare con la memoria alle radici delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno, lucidamente esposte 40 anni fa da Pasquale Saraceno. Nell'analisi di Saraceno, il Mezzogiorno, alla pari di qualunque area arretrata, soffriva dell'assenza di tutte quelle economie esterne, che solo un articolato tessuto industriale e produttivo può offrire. Lo Stato doveva quindi intervenire offrendo incentivi di natura fiscale e/o finanziaria per compensare l'impresa delle diseconomie a cui andava incontro investendo nel Mezzogiorno.
Vi erano e vi sono molti elementi di verità in questa diagnosi. Ma l'esperienza di quasi cinque decenni di intervento straordinario ha anche dimostrato che le esternalità negative, che penalizzano l'investimento nel Mezzogiorno, non possono essere compensate attraverso la semplice erogazione di benefici monetari.
Gli investitori non chiedono solo incentivi. Se così fosse, riuscirebbe difficile capire le ragioni per cui il Mezzogiorno, che di incentivi alle imprese ha sempre largamente goduto, non è riuscito, al contrario di tante altre regioni arretrate dell'Europa, ad attirare un flusso consistente di investimenti stranieri.
Più che degli incentivi, gli investitori si preoccupano della possibilità di operare in un quadro normativo certo e nell'ambito di mercati il cui corretto funzionamento è garantito dalla presenza di un sistema legislativo, normativo e anche giudiziario in grado di fornire ampie garanzie di sicurezza, efficacia e di stabilità.
I benefici degli incentivi possono essere facilmente e rapidamente vanificati da tutte quelle distorsioni che, nell'ambito del mercato del lavoro, del mercato del credito, del mercato dei beni, dell'efficienza della pubblica amministrazione, oltre che delle condizioni di sicurezza dell'operare quotidiano, rendono difficoltosa ed incerta l'azione delle imprese.
Le più moderne teorie dello sviluppo economico sottolineano come la rimozione di queste distorsioni costituisca un elemento cruciale per consentire ad un'economia una crescita rapida e continuativa e citano l'esempio di quei paesi in via di sviluppo che hanno compiuto uno sforzo coraggioso per riformare in maniera spesso radicale la struttura delle proprie economie e oggi fruiscono dei benefici di tali scelte.
Il ruolo dello Stato in questo contesto è ancora più impegnativo di quanto non fosse nel passato. Compito dello Stato non è solo quello di erogare incentivi, la cui funzione positiva è d'altra parte innegabile sempre che possiedano quei requisiti di trasparenza e temporaneità che consentono di distinguerli da politiche meramente assistenziali.
Lo Stato non può neppure limitarsi a contribuire al rafforzamento della dotazione di infrastrutture le cui carenze in tutta evidenza penalizzano, come più volte rilevato da tutti gli studi finora svolti, soprattutto le regioni meridionali.
Lo Stato ovviamente non può e non deve, come troppo spesso ha cercato di fare nel passato, sostituirsi all'opera dell'imprenditore privato.
Perchè ora il problema del Mezzogiorno è insrito in un contesto più ampio, confluendo nella cosiddetta <<politica per le aree depresse>>, cioè per tutte le aree depresse del Paese, il contributo della politica regionale è più arduo, più complesso. Si tratta di identificare e rimuovere i vincoli che impediscono il corretto funzionamento dei mercati del credito, del lavoro e dei beni e che spesso trovano la loro ragione d'essere nelle norme e nell'operato dello stesso settore pubblico.
Preoccupa ad esempio la circostanza che la chiusura dell'intervento straordinario e l'avvio di quello ordinario poggiano sull'idea di <<programmazione negoziata>>: e prevedono <<accordi di programma>>, <<contratti di programma>>, <<intese di programma>>, affidati alla Pubblica Amministrazione.
La stessa azione <<diretta>> dell'Unione europea, attraverso l'operare dei propri <<fondi a finalità strutturali>> e il controllo che essa è tenuta ad esercitare sulle politiche nazionali presuppongono forme di concertazione e (ancora una volta) di programmazione, affidati anch'essi alla Pubblica Amministrazione.
E' dunque un contributo diverso quello che necessita, meno vistoso e politicamente più ingrato, in quanto non si erogano incentivi, non si costruiscono opere pubbliche, ma si modificano norme e comportamenti, calpestando molto spesso interessi forti e consolidati. Ma è òa sola strategia per porre le basi della rinascita dell'economia del Mezzogiorno.
Punto di partenza delle nostre riflessioni non può non essere il mercato del lavoro, in quanto più gravi sono le conseguenze dell'inazione in questo campo.
I termini del problema sono semplici. A partire dal 1968, sulla spinta dell'azione sindacale, si sono progressivamente annullati i differenziali di remunerazione tra Nord e Sud, senza che a ciò corrispondesse una riduzione dei differenziali di produttività. Il costo effettivo del lavoro per unità di prodotto si colloca quindi a livelli in media più alti nel Mezzogiorno, un fatto ancor più paradossale se si ricorda che il costo della vita è sensibilmente più contenuto nelle regioni meridionali.
La politica regionale è intervenuta concedendo alle imprese operanti nel Mezzogiorno sgravi sostanziali in materia di oneri sociali. Le recenti pronuncie dell'Unione Europea hanno però costretto il governo italiano a limare tali benefici, provocando un aumento cospicuo del costo del lavoro nel Mezzogiorno, un fatto che non è di certo estraneo all'aggravarsi delle difficoltà occupazionali nelle regioni meridionali in questi anni.
Il problema non nasce però soltanto da un livello più o meno eccessivo del costo del lavoro, ma dal fatto che un sistema di determinazione del salario, centralizzato, poco flessibile e in gran parte condizionato dalla situazione del mercato del lavoro nelle regioni settentrionali, non consente di tenere conto delle condizioni delle economie locali e soprattutto dell'esigenza di riassorbimento della disoccupazione in certe aree.
Le gabbie salariali più volte evocate anche nel dibattito politico non costituiscono un rimedio valido nella misura in cui rappresentano la negazione stessa dell'esigenza di flessibilità già rilevata. Vi sono aree nel Mezzogiorno in cui il tasso di disoccupazione non si discosta significativamente da quello nazionale. Di riflesso, in altre parti del Sud, il tasso di disoccupazione si attesta su livelli drammatici. E' indispensabile quindi che il processo di contrattazione del salario sia in grado di riflettere la diversità di condizioni sul territorio nazionale.
Alcuni economisti hanno suggerito, forse un poco affrettatamente, di eliminare la contrattazione nazionale. Indubbiamente, in tale modo si indebolirebbe il potere dei sindacati nazionali, ma sarebbe in tutta evidenza una strada sbagliata, foriera di conflitti e dai risultati incerti.
Il Mezzogiorno ha bisogno, certamente, di più flessibilità, ma la flessibilità non va intesa come strumento per erodere il potere di un sindacato che ha dimostrato invece senso di responsabilità nei confronti delle sorti dell'economia del paese.
Le parti sociali con l'aiuto del governo devono riflettere sui modi di rendere più flessibile la struttura del salario, introducendo ad esempio la possibilità di deroghe a livello regionale per tenere conto di situazioni occupazionali particolarmente difficili.
L'accordo sul costo del lavoro del luglio 1993 è in grado di fornire il quadro in cui collocare questi patti regionali.
Ancora più importante è il contributo che la parti sociali possono fornire nel favorire nuove forme di rapporti di lavoro che rispondano alle esigenze di gruppi sociali quali i giovani, le donne, gli anziani. La diffusione del lavoro a tempo parziale e dei contratti a tempo determinato non costituisce necessariamente un indebolimento del sindacato, che al contrario può trovare nuove spinte dalla capacità di avvicinare al mercato formale del lavoro gruppi rimasti troppo a lungo ai margini di tali mercati.
Alle riforme del mercato del lavoro si accompagna l'improrogabilità di un intervento per il mercato del credito.
A settembre 1995, secondo i dati elaborati dalla Banca d'Italia, le partite in sofferenza in percentuale degli impieghi delle aziende di credito raggiungevano il 7,2% nel Centro-Nord e il 21,1% nelle regioni meridionali. Allo stesso tempo gli imprenditori del Mezzogiorno lamentano il costo troppo elevato del credito e le difficoltà crescenti di accesso ai finanziamenti.
I dati confermano inoltre che il differenziale nei tassi di interesse a breve fra Mezzogiorno e Centro-Nord è ulteriormente cresciuto negli anni e persino nei mesi più recenti.
Studi condotti presso la Banca d'Italia sottolineano come il differenziale dei tassi d'interesse vada non solo attribuito alla maggiore rischiosità delle imprese meridionali per la debolezza dei settori produttivi, ma anche e soprattutto alla maggiore frammentazione del sistema produttivo nel suo complesso.
Significativi nello spiegare tale differenziale sono anche la minore efficienza e i maggiori costi delle banche meridionali.
Le banche meridionali stanno indubbiamente vivendo un periodo difficile, di profonda e radicale ristrutturazione dalla quale si auspica che emergeranno rafforzate e più competitive.
Il settore finanziario può e deve svolgere un ruolo di rilievo nel favorire il processo di crescita delle imprese e nell'indirizzare i finanziamenti anche verso quei progetti che seppur a maggior rischio forniscono un contributo di innovazione e di crescita più marcato.
E' essenziale che il settore bancario e quello finanziario riescano a ridurre i propri costi di esercizio e a trasferire perlomeno in parte i benefici di tale riduzione agli utenti del credito, cioè soprattutto alle imprese.
A tale fine, è indispensabile che l'azione pubblica sia rivolta certo alla promozione della concorrenza aprendo il mercato della proprietà delle banche e consentendo alle banche esterne di acquisire direttamente il patrimonio di conoscenze delle realtà locali ma essa deve anche concorrere, con normative appropriate, ad individuare meccanismi che facilitino interventi di concentrazione e di ristrutturazione all'interno del sistema bancario.
E' necessario inoltre che migliori l'efficienza del settore finanziario meridionale, sia dal lato dei costi che dal punto di vista della capacità di valutare la bontà dei progetti di investimento.
A questo riguardo, l'abbattimento delle barriere fra comparto degli istituti a medio e lungo termine e quello del credito a breve termine è un fatto estremamente positivo. I primi conoscevano i progetti, i secondi conoscevano le imprese; da una più stretta integrazione di tali attività può nascere un sistema finanziario in grado di svolgere una funzione propulsiva dello sviluppo. Non mancano gli ostacoli al riguardo, ma tali ostacoli possono a loro volta costituire uno stimolo prezioso nella ricerca di nuove opportunità per la crescita del sistema creditizio, in particolare nel Mezzogiorno. La migliorata efficienza del sistema finanziario, una più sretta integrazione fra attività di prestito a breve e a lungo termine, un sistema più trasparente e soprattutto aperto alla concorrenza sono solo alcune delle condizioni per incrementare le capacità valutative del sistema, consentendo quindi di finanziare i progetti imprenditoriali veramente meritevoli e, così facendo, di ricreare un rapporto costruttivo e di reciproca fiducia tra banchieri ed imprenditori anche nel Mezzogiorno, un rapporto che nel passato troppo spesso è venuto a mancare.
La ristrutturazione del settore finanziario e del mercato del lavoro non esauriscono di certo i compiti di riforma delle autorità di politica economica. Il decentramento fiscale, la revisione delle procedure di spesa pubblica, il processo di privatizzazione sono tutti esempi di mutamenti strutturali che incideranno radicalmente anche sulle prospettive dell'economia meridionale.
In chiusura, mi vorrei soffermare su due aspetti. Il primo è quello delle privatizzazioni. Dolo quella che era forse una pausa inevitabile di riflessione, è probabile ed auspicabile che il processo di privatizzazione riceva un nuovo impulso, indipendentemente dall'esito della tornata elettorale.
In buona parte, la nuova fase di privatizzazione investirà imprese che operano nel campo dei servizi pubblici, della fornitura di servizi elettrici, di telecomunicazioni, di energia. Questo processo ha forti implicazioni per le regioni meridionali.
Il Mezzogiorno non può non guardare con preoccupazione alla possibilità che, nel settore dei servizi pubblici, monopoli privati si sostituiscano ai monopoli pubblici. Si strapperebbe in tale modo il velo, sottile, dei vincoli che obbligavano il monopolista pubblico a servire i servizi richiesti dalle esigenze di crescita delle aree meno fortunate e prevarrebbe la ricerca del massimo profitto non più temperata dalle forze del mercato e della concorrenza.
Siamo convinti che il processo di privatizzazione debba continuare, che possa essere foriero di significative opportunità di crescita anche per piccole e medie imprese e per l'occupazione.
Perchè questi benefici si materializzino, è indispensabile però che non venga mai perso di vista l'obiettivo di mantenere condizioni di apertura e concorrenzialità dei mercati, scardinando se necessario le posizioni di privilegio pre-esistenti.
La sopravvivenza dei monopoli comprometterebbe gran parte dei benefici della privatizzazione, si ridurrebbero gli incentivi all'efficienza e all'innovazione tecnologica non più stimolati dall'incessante pressione della concorrenza, si creerebbero le condizioni per abusare delle posizioni di dominio sui mercati a tutto danno degli utenti, si ostacolerebbe l'accesso al mercato di nuove forze di piccola, media e grande imprenditoria con il loro contributo di idee, di innovazione e di occupazione.
A risentire maggiormente di tale involuzione sarebbero soprattutto le regioni più deboli, che più di altre richiedono il miglioramento delle condizioni di fornitura dei servizi sia in termini di prezzo che in termini di qualità e che più di altre trarrebbero beneficio da un'azione volta ad assicurare l'apertura dei mercati in un settore cruciale come quello dei servizi alle imprese.
Questa rassegna non sarebbe completa se non ci soffermassimo su un ultimo tema, quello del ruolo della Pubblica Amministrazione. La struttura istituzionale dell'intervento a favore delle regioni meridionali ha subito riforme radicali nell'ultimo decennio. Con la legge 64 del 1986 ma soprattutto con la fine dell'intervento straordinario si è infatti verificato uno spostamento profondo fra competenze dello Stato centrale e quelle delle autonomie locali. Alle Regioni a statuto ordinario è stato assegnato in particolare il compito di gestire l'intervento a favore delle aree depresse, utilizzando a tal fine i fondi di provenienza comunitaria, quelli di origine nazionale e le procedure di co-finanziamento. I risultati non sono sempre stati incoraggianti. A metà del 1992 lo stato di attuazione del Quadro Comunitario di Sostegno per le regioni italiane dell'obiettivo 1 - in pratica le regioni meridionali - rivelava che solo il 62% dei fondi era stato impegnato e solo il 33% risultava speso. A fine 1994, malgrado gli sforzi del governo, la percentuale di spesa per l'insieme delle regioni dell'obiettivo 1 era pari al 63% degli impegni assunti.
Il ritardo era più pronunciato per i progetti di natura regionale, a testimonianza della perdurante difficoltà delle Regioni - soprattutto di quelle meridionali - in sede sia progettuale che esecutiva.
Il Quadro comunitario di Sostegno approvato dalla Unione Europea per il periodo 1994-1999 prevede una spesa media annua di più di 10.000 miliardi. In assenza di correttivi rispetto al passato, anche questo programma di intervento rischia di non trovare un'attuazione efficace, nonostante la più intensa attività di <<monitoraggio>> predisposta presso il Ministero del Bilancio, con l'istituzione della cosiddetta <<Cabina di Regia>>. Prioritario, ancora una volta, sarà l'investimento in risorse umane teso a migliorare le capacità tecniche delle nostre Amministrazioni.
Sono questi alcuni temi, le riforme del mercato del lavoro, il ruolo del settore finanziario, il processo di privatizzazione, il ruolo della Pubblica Amministrazione che ho voluto sottoporre alla vostra riflessione e in particolare a coloro che dovranno intervenire ai lavori di questo convegno. Vi sono ovviamente altri temi, sui quali non mi sono soffermato e che altri potranno affrontare.
Ma, in sede di conclusione, vorrei sottolineare come le difficoltà oggettive della situazione del Mezogiorno non devono essere fonte di scoramento ma spinta ad un impegno ancora maggiore. L'economia del Mezzogiorno ha perso ulteriore terreno in questi anni sia rispetto al resto d'Italia che all'Europa. Il deprezzamento del tasso di cambio ha consentito alle regioni del Centro-Nord di rafforzare la propria posizione sui mercati esteri, attenuando di molto gli effetti dell'ultima recessione da cui ancora l'economia europea fatica ad uscire.
Per l'economia meridionale, il cui posizionamento sui mercati esteri era relativamente più debole, il deprezzamento del tasso di cambio ha significato soprattutto un aumento dei costi di produzione in un contesto in cui la debolezza della domanda interna non consentiva di trasferire tali aumenti sui prezzi.
Si sono aggiunti la fine dellintervento straordinario, un lungo periodo di incertezze sui nuovi sistemi di incentivi e l'aumento del costo del lavoro in seguito all'abolizione degli sgravi sociali. L'economia del Mezzogiorno ha accusato il colpo.
Il Mezzogiorno possiede però le risorse umane, imprenditoriali e di lavoro per risalire la china e riunirsi a pieno titolo all'Europa. Il nostro compito è quello di contribuire a che tali potenzialità possano esprimersi nella loro pienezza.
Il Mezzogiorno come sottolineavo in precedenza non chiede agevolazioni. L'economia, gli imprenditori, i lavoratori meridionali richiedono di potere operare in quadro di certezza e di sicurezza, sul piano delle leggi, dell'amministrazione della giustizia, e del corretto funzionamento dei mercati del lavoro, del credito e dei beni. A queste aspirazioni è compito anche nostro fornire una risposta.