Convegno: Il Restauro del Colosseo

Signori,
Rivolgo a tutti i presenti il benvenuto e i saluti della Banca di Roma che oggi è ben lieta di ospitare questo prestigioso evento culturale.

Un particolare ringraziamento esprimo al Ministro, Onorevole Melandri, la cui presenza, in un momento certamente significativo per le politiche dei beni culturali nel nostro Paese, aggiunge forte rilievo ai lavori di questo Convegno.

Ringraziamenti sono altresì dovuti al Soprintendente ai Beni Archeologici di Roma e ai numerosi illustri esperti e studiosi al cui impegno dobbiamo riferire l’organizzazione e i contenuti specialistici di questa iniziativa.

Il sostanzioso programma degli interventi della giornata riflette l’eccezionale dispiegamento di “sapere” messo in campo per affrontare responsabilmente un compito così complessivo e rilevante quale il restauro del Colosseo.

Complessità e rilevanza di cui forse avevamo solo parziale percezione quando, nei primi anni ’90, ci venne proposto di sponsorizzare questo restauro. Ma non avemmo dubbi.

Le tre più antiche banche della Capitale, che si erano appena concentrate, non potevano trovare un’immagine che offrisse sintesi più appropriata dei valori di “continuità”, di credibilità e dir radicamento culturale che si volevano porre a fondamento della nuova Banca di Roma.

L’intervento a favore del Colosseo per noi rappresenta, infatti, molto più di una semplice sponsorizzazione.

È un intervento che vuole comunicare il senso e il valore della Banca in quanto struttura produttiva legata alla società, capace di rispondere ai bisogni materiali e culturali di un territorio, di una “comunità” di riferimento.

È un intervento per Roma, di cui il Colosseo rappresenta senza dubbio il più forte riferimento simbolico.

Crediamo, del resto, di poter legittimamente rivendicare una lunga dedizione e un impegno tenace alla difesa e alla valorizzazione delle “risorse” migliori della Capitale.

Risorse che sono certo “storia”, “arte” e “cultura”. Ma sono anche, capacità di sviluppare reddito e qualità della, vita, capacità di trattenere ed esaltare centri di coordinamento e di direzione, capacità di generare innovazione e progresso.

E ciò che è “innovativo” può e deve integrarsi con il “tradizionale” come ben dimostra oggi l’apporto di poli di eccellenza scientifica – quali sono le nostre Università – ad un progetto di restauro come quello del Colosseo.

Altri apporti possono derivare dai recenti, eccezionali sviluppi della scienza dell’informazione e delle tecnologie di rete che stanno rivoluzionando le modalità di distribuzione dei servizi e che possono far fare un salto di qualità proprio alle aree economiche, come quella romana, prevalentemente fondate sui servizi.

In quest’ottica si comprende quanto sta avvenendo in molti comaprti tradizionali del terziario, primo fra tutti quello della finanza.

Le banche hanno effettuato – e programmato di effettuare negli anni prossimi – investimenti ingenti non solo nell’ambito della “banca telematica”, ma anche nel vasto retroterra di servizi alle imprese e alle istituzioni che a loro volta si propongono di accedere ai nuovi canali telematici.

E fra queste istituzioni, l’utilizzo delle nuove reti offre crescenti opportunità anche a quelle che operano nei diversi ambiti delle attività culturali.
Perché possono nascere forme nuove di collegamento e collaborazione fra istituzioni culturali diverse e fra queste e il mondo del turismo, delle imprese e delle banche.

Perché le funzioni divulgative de educative vengono esaltate e possono di molto ampliare il bacino di domanda e offerta potenziale di cultura.

Perché si aprono nuovi canali di distribuzione e fruizione congiunta di cultura e di servizi collegati che tendono ad attenuare i confini rigidi fra ciò che è “cultura” e ciò che è “impresa”.

Certo, tutto ciò è in gran parte ancora “futuro”. Un “futuro” forse non”tutto” e non da “tutti” condiviso. Molti, tuttavia, condivideranno che il futuro, anche nel settore culturale, si costruisce con uno sguardo al “passato” e con l’impegno di tutti.

Consentitemi, allora, per concludere, di tornare rapidamente al nostro Anfiteatro.

Per noi, qui a Roma, la sua assimilazione al paesaggio e alla quotidianità tende, forse inconsapevolmente, ad attenuare il carattere di assoluta eccezionalità torica e architettonica.

Uno straniero come Goethe che lo osservava una sera di novembre del 1786 poteva, invece, annotare nei suoi diari: “È così “grande” che la mente non ri4esce a comprenderlo in sé; piccola è l’immagine che la mente ne serba e, quando si torna a vederlo, fa l’effetto d’esser più grande di prima.”

Anche noi, guardandolo, vorremmo avere l’effetto che sia più “grande” di prima.

Vi ringrazio. Auguro buon lavoro e cedo al parola a …